I genitori di fronte alle paure dei bambini

“Mio figlio ha molta paura del buio. Non vuole mai dormire da solo e ha bisogno di una lucina accesa per tutta la notte. È davvero difficile per lui addormentarsi e spesso si sveglia durante la notte con incubi.” Laura, mamma di un bambino di 4 anni.”

Capita spesso che bambine e bambini manifestino le paure più varie.

Paura del buio: questa paura può essere presente fin dalla più tenera età. Nel buio, infatti, il bambino non è in grado di vedere e si sente vulnerabile.

Paura dei rumori forti: connessa alla reazione del bambino a stimoli improvvisi e intensi.

Paura degli estranei: questa paura si manifesta intorno agli 8-9 mesi di vita, ed è dovuta al fatto che il bambino inizia a distinguere le persone familiari da quelle sconosciute.

Paura della separazione: questa paura può manifestarsi intorno ai 12-18 mesi di vita, connessa al fatto di iniziare a temere di essere abbandonato dai genitori.

Paura dei mostri e delle creature immaginarie: questa paura può manifestarsi intorno ai 3-5 anni, connessa all’immaginazione del bambino che è in fase di sviluppo.

Paura del dottore: questa paura può manifestarsi intorno ai 3-4 anni, dovuta alle esperienze negative che il bambino può aver avuto durante le visite dal dottore.

Paura della scuola: questa paura può manifestarsi intorno ai 5-6 anni, dovuta al fatto che il bambino si trova ad affrontare un nuovo ambiente e nuove routine.

Paura di sbagliare: può manifestarsi in età scolare quando gli adulti – insegnanti o genitori – fanno pesare troppo le aspettative sui risultati e stigmatizzano gli errori, anziché considerarli in positivo come un mezzo per imparare.

Il fatto che queste paure si manifestino non è così automatico, non succede sempre.

Inoltre a volte si manifestano per un periodo breve, a volte invece durano più a lungo e magari rimangono anche in adolescenza e nell’età adulta.

Il tema è stato ampiamente studiato da psicologi, pedagogisti, neuroscienziati e si è affermata la tendenza ad accogliere le emozioni, in particolare quelle negative come le paure, in modo da non farne un mostro da sconfiggere, un ostacolo da temere.

La crescita infatti è un percorso che può attraversare momenti di difficoltà, anche disorientamento, perfino senso di non farcela.

Quello che può fare la differenza è la modalità con la quale gli adulti accompagnano questo percorso.

Non puntare al risultato, ma considerare le tempistiche, le modalità e il significato che il bambino può attribuire a quel vissuto e al modo con il quale ci relazioniamo con lui, quello che può imparare (di se stesso, del mondo e degli altri) vivendo quell’esperienza e che diventerà un bagaglio importante per la sua personalità e per il suo futuro.

In concreto cosa possiamo fare noi adulti?

Usare l’immaginazione per giocare con le piccole e grandi paure del bambino, arricchire il suo vocabolario di parole da associare alle emozioni, creare storie ad esse legate, conoscerle, affrontarle, attraversarle, giocarci, scoprirle, manifestarle, raccontarle, condividerle… ma senza preoccuparsi di sconfiggerle e superarle, non dobbiamo avere l’ansia di risolvere il problema.

Questo è un risultato che verrà da sé, con il tempo che il bambino userà per fare la propria elaborazione di tutto quello che si è condiviso e vissuto.

Perché questo nostro modo di relazionarsi con lui gli darà la sicurezza che abbiamo fiducia nelle sue possibilità di realizzazione e crescita e quindi gli darà la libertà di elaborare una separazione da quelle paure nel modo che gli sarà più congeniale.

Non perché deve farlo, e soprattutto non perché deve farlo per noi, per fare contenti i genitori.

Un esempio di pressione eccessiva:

“Mio figlio ha sempre avuto paura di parlare in pubblico. Da piccolo, quando doveva fare una presentazione a scuola, diventava rosso in viso, tremava e balbettava. Io lo spingevo a fare del suo meglio, dicendogli che doveva essere coraggioso e che non doveva aver paura di esporsi. Lo iscrivevo anche a corsi di teatro e di public speaking per aiutarlo a superare la sua paura.

All’inizio, sembrava che questi sforzi stessero dando dei risultati. Mio figlio iniziava a sentirsi più a suo agio nel parlare di fronte agli altri. Ma con il tempo, la pressione che gli facevo è diventata eccessiva. Ha iniziato ad associare il parlare in pubblico a stress, ansia e fallimento. Ha smesso di partecipare alle attività extrascolastiche e ha iniziato a evitare qualsiasi situazione in cui avrebbe dovuto parlare di fronte agli altri.

Un giorno ho deciso di rivolgermi ad un’educatrice e, grazie al suo aiuto, mi sono resa conto che stavo facendo più male che bene. Ho visto la paura e l’ansia negli occhi di mio figlio e ho capito che lo stavo spingendo troppo oltre i suoi limiti. Ho deciso di cambiare approccio. Ho iniziato a lasciarlo stare, indipendentemente dai suoi successi o fallimenti. Ho smesso di forzarlo a fare cose che lo spaventavano.

Con il tempo, mio figlio ha iniziato a riprendersi dalla pressione che gli facevo. Ha iniziato a sentirsi più sicuro di sé e ha ritrovato la sua passione per la musica. Ora suona in una band e si esibisce regolarmente. Ha imparato a gestire la sua paura di parlare in pubblico e ora è in grado di farlo con sicurezza e disinvoltura.” Giulia, madre di Federico, 17 anni.

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